Beni Culturali

 
Il Museo Parrocchiale

Voluto dal compianto parroco don Mario D'Amico, il Museo Parrocchiale nacque per contenere e conservare tutte quelle opere, attrezzi da lavoro e oggettistica domestica che diversamente sarebbe stati molto probabilmente dispersi.
Per salvaguardare questo ricco patrimonio d'arte e cultura del passato, padre D'Amico, ha ben pensato di utilizzare due stanze e l'ingresso della sua canonica annessa alla Cattedrale per adibirlo a piccolo museo. Qui vennero custodite opere provenienti dalla chiesa di San Nicolò come una statua lignea si Sant'Antonio, una tela di autore ignoto raffigurante Gesù risorto con l'emblema della passione risalente al seicento e un quadro del cinquecento, anch'esso di ignoto, con la rappresentazione della discesa dello Spirito Santo. Un'autentica rarità per il soggetto che rappresenta è la statua di San Giuseppe con Gesù bambino.

Pregevoli sono anche le suppellettili ecclesiastiche riconducibili al periodo fra il seicento ed il settecento e un libro del cinquecento, anche se l'opera di maggior rilievo e importanza è una tela raffigurante San Nicolò attrinuita ad Antonello da Messina o quantomeno ad un artista della sua scuola.
Preziosi sono anche gli arredi sacri custoditi in alcune vetrine tra i quali spiccano un Pianeta di colore bianco del XVII secolo, finemente ricamata e lavorata in oro e corallo, un Ostensorio in argento del 1684 e un calice cesellato anch'esso in argento di scuola francese del XVII secolo. Qui sitrova anche una piccola campana del 1300 rinvenuta nel casale di paizza Vecchia.

Nel museo si possono osservare anche alcune testimonanze della cultura contadina e pastorale casalvetine, come un mulinello in pietra per macinare il grano ed un mulino più grande dotato di ruote dentate risalente al 1700.


Chiesa SS Pietro e Paolo d' Agrò

Fuori dal centro abitato, nella contrada San Pietro, sulla sponda sinistra del Torrente Agrò, a 3 Km da Casalvecchio Siculo, si staglia, maestosa, circondata da lussureggianti agrumeti, una Chiesa, testimonianza di una civiltà di molti secoli fa e simbolo di un'epoca che sapeva identificarsi nell'arte e nella cultura.
E'la Chiesa, monumento nazionale, dei SS. Pietro e Paolo d'Agrò, gioiello dell'architettura bizantina, araba e normanna, i cui stili riescono a fondersi e mettere in risalto, lungo i prospetti, un'estasiante policromia di pietre bianche arenarie e nere laviche.
Perla d'arte del comune casalvetino, oltre che decoro e vanto della collettività, che ne va molto fiera e ne fa un motivo di legittimo orgoglio, il Tempio è il monumento più importante dell'intera vallata ed è divenuto nel tempo l'elemento simbolo dei comuni della Valle d'Agrò.
E'un punto di riferimento per i turisti in cerca di spunti fotografici, per appassionati d'arte e di architettura, per studiosi ed uomini di cultura, che, in questa Chiesa trovano un capolavoro che "...per il suo pregio artistico viene considerata fra i più interessanti monumenti della Sicilia e, senza esagerazioni, del mondo" (parole pronunciate dal Prof. Pietro Lojacono, sovrintendente alle belle arti di Catania, nel 1960).

E'un punto di riferimento per i turisti in cerca di spunti fotografici, per appassionati d'arte e di architettura, per studiosi ed uomini di cultura, che, in questa Chiesa trovano un capolavoro che "… per il suo pregio artistico viene considerata fra i più interessanti monumenti della Sicilia e, senza esagerazioni, del mondo" (parole pronunciate dal Prof. Pietro Lojacono, sovrintendente alle belle arti di Catania, nel 1960).
Sembra che il tempio sia stato realizzato intorno al 560 dai Frati Basiliani, ma venne totalmente distrutto dagli arabi alcuni secoli dopo. La conferma della data di riedificazione viene dal "Diploma di Donazione" con il quale Ruggero II nel 1116 ne dà concessione agli stessi frati. In questo documento si legge, infatti, che il Re, ritornando da Messina a Palermo, durante una sosta in Scala S. Alexi (l'attuale S. Alessio S.), fu avvicinato da un monaco venerabile, Abate Gerasimo, che chiese al giovane sovrano la facoltà e l'aiuto di riedificare il tempio. Ruggero II concesse ai frati basiliani il permesso di riedificare la Basilica nel luogo dove sorgeva già da vecchia data, essendo stata saccheggiata ed abbattuta durante l'invasione Araba.
Fu fatta, quindi, ricostruire col Monastero basiliano adiacente nel 1117, grazie alla magnanimità del Re normanno.

In seguito ai danneggiamenti subiti durante il terremoto del 1169, che scosse l'intera Sicilia orientale, la Chiesa venne rinnovata nel 1172 dall'architetto francese Gherardo, che indubbiamente apportò nuovi ed esclusivi elementi stilistici ed architettonici. Lavori di restauro che, come giustamente osserva il Lojacono, sono realizzati su un organismo costruttivo, cioè su una struttura, già esistente, pertanto, il corpo principale della Chiesa sarebbe opera di un architetto rimasto ignoto, che ha saputo fondere in un perfetto connubio elementi di arte bizantina, araba e normanna.

Della datazione dell'edificio, fa fede l'epigrafe incisa sull'architrave del portale principale, dove si legge in greco antico: "fu ricostruito questo tempio dei SS. Pietro e Paolo da Teostericto Abate di Taormina a proprie spese. Possa iddio ricordarlo nell'anno 6680 (1172). Il capo mastro, Gherardo il Franco".

Vicino alla Chiesa vi era un grande monastero, dove presero alloggio i monaci si S. Basilio. Il monastero divenne, in breve tempo, non soltanto un centro di potere religioso ma anche giudiziario e politico (l'abate era membro del Parlamento Siciliano). In base al Diploma di Donazione con il quale Ruggero II assegnava dei beni al monastero basiliano, esso godeva di ogni esazione fiscale e possedeva vasti territori. Grazie al monastero, la vita fu fervida nella vallata dell'Agrò. Esisteva qui una ricca biblioteca ove i monaci basiliani studiavano ed insegnavano. I missionari si prodigarono a farlo divenire un centro di studi scientifici, artistici, umanistici e di sperimentazioni agricole. Per più secoli, proprio questo luogo, fu sede culturale fra le più importanti del messinese. Purtroppo, la parte più rilevante della biblioteca, costituita da preziosi codici manoscritti, miniati e libri antichissimi, furono portati via dagli spagnoli, dopo la repressione, a causa della fallita rivolta messinese contro la Spagna.

Alcuni manoscritti e pergamene si trovano oggi presso la Biblioteca Regionale Universitaria di Messina. Una parte delle opere custodite nella biblioteca costituito da preziosi codici manoscritti miniati del secolo XI e XII, precisamente in numero di 35, sono stati recentemente ritrovati in Spagna, presso il monastero di S. Lorenzo all'Escuriale ed altri alla Biblioteca Apostolica Vaticana. Si tratta di una scoperta rilevante che testimonia l'importanza storica e culturale di questa già invidiabile opera architettonica.
L'opera dei monaci venne a cessare verso il finire del 1794, quando i basiliani abbandonarono la vallata dell'Agrò resa, nel frattempo, malsana dal sopraggiungere di epidemie, trasferendosi a Messina nel convento dei PP. Domenicani di S. Girolamo (poi completamente distrutto nel terremoto del 1908). L'ampio convento, lasciato nei tempi all'incuria, attualmente è interessato da un intervento di ristrutturazione ad opera della Sovrintendenza dei Beni Culturali di Messina, con l'intento di riportarlo all'antico splendore.

Il monumento dei SS. Pietro e Paolo, rappresenta uno dei monumenti siciliani più complessi: è infatti una sintesi di elementi di arte bizantina, araba e normanna con i muri, di arenaria, calcare, pietra lavica, tufo, cotto, pomice, in mattoni rossi, bianchi e neri che si rincorrono sulle pareti e nelle archeggiature delle facciate formando motivi decorativi semplici ed eleganti unici nel loro genere, che, trasferendosi anche all'interno, sottolineano la lineare essenzialità delle colonne monolitiche sormontate dai capitelli, che segnano le navate. Lungo la navata centrale si elevano due cupole: una più alta ed ondulata a spicchi, l'altra, nell'area del transetto, più bassa ed a pianta ottagonale.
Quattro dovevano essere in origine le cupolette della Chiesa: due sulle torricelle del prospetto (oggi scomparse), una sopraelevata su un tamburo al centro della navata, sorretta da quattro colonne ed alta mt 17,22, ed una sul transetto, sorretta da due pilastri e da due semipilastri terminali, ed alta mt 15,10.

Il professore Stefano Bottari, uno dei più insigni storici del nostro secolo, così scrive tra l'altro "la bizzarra policromia, ottenuta per mezzo del mattone, della lava e della pietra bianca, adoperati per la costruzione ed intrecciati armoniosamente, acquista allo snello edificio una fisionomia veramente suggestiva e pittoresca...esso è a tre navate terminate da tribune semicircolari rivolte ad oriente. L'abside centrale è esternamente rettangolare. Nelle varie campate del suo tetto, nel senso, cioè, dell'asse della chiesa, si ammirano due cupolette con all'interno accenni di soffitti a stalattiti " lo stesso rileva che "dal lato architettonico, dopo le grandi cattedrali, il monumento più complesso della Sicilia normanna è costituito dalla chiesa dei santi Pietro e Paolo d'Agrò e che essa si pone come l'esempio più significativo e perfetto di tutta la serie di costruzioni basiliane della nostra Sicilia".

Diploma di donazione: "...al detto Monastero viene incorporato il villaggio di Agrilla posto entro il predetto confine con tutti gli uomini abitanti in esso, affinchè facciano i servizi necessari al Monastero, vale a dire 24 giornate lavorative per la mietitura di qualunque cosa, 12 giorni per fecondare e seminare con l'aiuto dei buoi, donare due galline nelle festività della Nascita del Cristo e di Pasqua, pagare la decima di tutte le capre e dei maiali, essere giudicati e condannati sotto il dominio degli Abati del Monastero che hanno il potere cadendo in fallo, di legare e fustigare ed ammonire, riservando la pena dell'omicidio e dell'alto tradimento alla Curia della Maestà Nostra. Comandiamo ancora che il predetto Monastero abbia ogni anno dalla tonnara di Oliveti otto barili di tonnina e abbia una barca libera da ogni imposta e pagamento in tutti i porti della Sicilia per tutto ciò che viene trasportato a favore del Monastero. Inoltre vogliamo che gli animali di quello stesso Monastero siano esenti e liberi di pascolare in tutto il territorio di Taormina e di Troina. In più doniamo la chiesa di San Teodoro ubicata e posta nel territorio di Taormina, ed ancora una località nel territorio di Gaggi, presso il fiume Alcantara, in modo che il Monastero possa costruire un mulino ed avere il possesso dell'acqua dello stesso fiume, sempre fuori da alcun impedimento..."