Horcynus Orca di Stefano D'Arrigo

Horcynus Orca di Stefano D’Arrigo

La data di inizio dei romanzo che ha reso famoso Stefano D’Arrigo risale al 1950. Nel mese di ottobre, infatti, in una lettera alla moglie Jutta, accenna al progetto per un’opera di vasto respiro.
Dopo venticinque dall’inizio, nel mese di febbraio del 1975 il romanzo viene pubblicato. Nel 1982 Horcynus Orca viene ristampato negli oscar Mondadori, con una Introduzione di Giuseppe Pontiggia.

Romanzo dall’andamento fluviale, composto nell’arco di una lotta più che ventennale dello scrittore con la sua materia narrativa (i primi nuclei apparvero su “Il Menabò”, n.3-1960, con il titolo “I giorni della fera”, Horcynus Orca è la storia di un marinaio Siciliano, ‘Ndria Cambria, nocchiero semplice della Regia marina, che sbarca dalla sua nave a Napoli, nei giorni dell’insurrezione antitedesca del 1943, e con alcuni occasionali compagni di viaggio, tra cui il catanese Boccadopa (che chiede ansiosamente notizie della sua isola, e alcune donne calabresi lo rassicurano scherzosamente che essa “galleggia ancora”), torna a casa, nella sua Sicilia in un paesetto dello Stretto di Messina.

Il prima tema affrontato è dunque quello del “nostos” (ritorno) per dirla come Omero, o dell’Homecoming, per dirla con Joice: ma non cè nulla di Joyciano o di omerico nelle avventure continentali di ‘Ndria, anche se la donna che lo traghetta si chiama Ciccina Circè, un nome che fatalmente fa brillare una luce di ulissismo sul marinaio siciliano, richiamando la omerica Circe.
La seconda parte del romanzo è quella dell’incontro – che in realtà è uno scontro – con il mondo siciliano turbato e sconvolto nelle sue secolari abitudini dal: passaggio violento della seconda guerra mondiale. Veramente indimenticabili le pagine riguardanti il padre, che è riluttante a riconoscere nel reduce il figlio – con una diffidenza tutta siciliana – e le pagine dell’amore con Ciccina Circè, e quelle riguardanti la vita dei delfini nello Stretto.

La terza parte è quella in cui il tono epico si fa particolarmente più elevato, perché in essa è descritta l’apparizione della gigantesca Orca, che viene raffigurata nel suo terrificante simbolo apportatore di morte perché la sua presenza nello Stretto fu segnalata una prima volta nel 1908, l’anno del catastrofico terremoto, e la seconda volta nel 1943, l’anno della guerra e degli spaventosi bombardamenti aerei su Messina.

Il Romanzo valorizza un ambiente sociale che accomuna tutti paesi che si affacciano sullo stretto di Messina; ognuno di essi infatti pur mantenendo una peculiarità dettata dalle tradizioni molto spesso a carattere religioso, è legato agli altri dal comune denominatore: il mare.
Un popolo di pescatori, quindi, animato da tutte quelle ansie e da tutte quelle gioie che un amico-nemico può dare: un ottimo pescato, una mareggiata, le tipiche giornate di scirocco. Il mare perciò ha modellato la vita dei borghi rivieraschi.

L’importanza di quest’opera nella letteratura italiana è rappresentata dalla :straordinaria invenzione linguistica.

D’Arrigo scrive una lingua composita, che ha per base il siciliano, e intarsi arcaici, colti; la dialettalità è essenziale nella sua prosa, ma sarebbe erroneo definirlo scrittore dialettale. Nel romanzo, infatti, si distinguono tre livelli linguistici: il primo è dialettale, il secondo è quello inventivo (continua aggregazione, deformazione, recisione, accoppiamento di parole e suoni per estrarne tutti i possibili significati), il terzo è l’italiano colto espresso in una musicalità suadente e solenne. L’eccezionalità dello scrittore sta proprio nell’orchestrazione di questi strumenti diversi.

La lingua nasce idealmente dalle labbra dei pescatori, intorno ad essi s’avvolge, alla loro umanità e cultura, alla loro sostanza antropologica di uomini legati ad una certa civiltà del mare e a quella di un’isola nutrita nei secoli e nei millenni da culture ora saldamente stratificate.
I luoghi descritti dall’autore nel romanzo sono il magnifico scenario dello stretto di Messina e i paesi costieri (siciliani e calabri) che si affacciano su di esso.

Tra i luoghi, naturalmente, viene citato anche il paese di Alì Terme con particolare riferimento all’attività di un piccolo cantiere per la costruzione di barche. Attività che nel tempo si è consolidata con la creazione di un altro cantiere, più grande, per la costruzione di pescherecci.
Il “nostos “di “Ndria” nel romanzo “ Horcynus Orca”, con la descrizione del mare e delle coste siciliane, può essere considerato anche un ritorno alle origini dello scrittore che, pur essendo nato ad Alì Terme, visse nel piccolo centro jonico poco più di dieci anni.


L’autore, Stefano D’Arrigo

Stefano D’Arrigo nasce il 15 ottobre 1919 ad Alì Marina, oggi Alì Terme, sul versante jonico della provincia di Messina. Il padre Giuseppe, lascia la famiglia poco dopo la sua nascita per emigrare negli Stati Uniti in cerca di fortuna.

Ad Alì Terme frequenta le scuole elementari, trasferendosi poi a Milazzo per seguire le medie e il liceo. Nel 1938 si sposta a Messina per iscriversi all’Università; dove conseguirà la Laurea in Lettere discutendo la lirica del poeta tedesco Friedrich Hoelderlin.

Chiamato alle armi mentre è ancora studente, viene destinato a una formazione di cosiddetti “Volontari Universitari” e arruolato come autiere per partecipare a un corso di allievi ufficiali nel bellunese. Escluso e rimandato in Sicilia, fa in tempo ad assistere allo sbarco alleato e vivere varie vicende ed esperienze. Nel 1946 si trasferisce a Roma dove comincia a svolgere ricerche per conto di musei, gallerie d’arte, collezionisti; lavora per un breve periodo al “Tempo’ e al “Giornale d’Italia” e inizia a collaborare a varie riviste fra cui, come critico d’arte, al settimanale “Vie Nuove”.
Nell’ottobre 1950, in una lettera alla moglie Jutta, accenna al progetto per un’opera di vasto respiro. Nel 1957 pubblica una raccolta di poesie “Codice Siciliano”;
Nel febbraio del 1975 esce “Horcynus Orca“.

Tra gli altri scritti di D’Arrigo, due significativi saggi, “Omiccioli sino a Scilla”, firmato Fortunato D’Arrigo (Fortunato è il primo nome dell’autore), Catalogo per Omiccioli(Roma, Studio d’arte Palma, 1950), e “La grandezza in pietra di Mazzullo”, in Catalogo della Mostra antologica dell’opera di Giuseppe Mazzullo, Palermo, Palazzo dei Normanni, maggio-luglio l977, pp 7-l0.

Nel 1985 esce il romanzo “La cima delle nobildonne”, un’opera di narrativa di indirizzo tematico e stilistico profondamente diversa dal capolavoro precedente.
Il due maggio del 1992 muore a Roma.