
Il 20 luglio 1860 i Mille di Garibaldi sconfissero a Milazzo le truppe borboniche guidate dal colonnello Ferdinando del Bosco, aprendosi di fatto la strada dello stretto. La brillante vittoria, oltre a rappresentare una delle tappe fondamentali della gloriosa spedizione delle camicie rosse in Sicilia, inflisse un altro duro colpo al vacillante regno di Francesco II.
L’importante battaglia fu preceduta però da alcuni duri scontri nelle zone di Archi e Corriolo, nell’entroterra San Filippo del Mela, che rivestono una enorme importanza per l’esito finale della contesa. Tanto è stato scritto sulle vicende che caratterizzarono quelle giornate. Dalle memorie dei protagonisti, riemergono i nomi di famosi eroi risorgimentali e le figure di alcuni personaggi locali che ruotano attorno allo storico evento.
Dopo la conquista di Palermo, l’esercito garibaldino si divise in tre tronconi, uno dei quali, affidato a Giacomo Medici, si trovò davanti l’ostacolo costituito dall’importante piazzaforte di Milazzo. Giunta a Barcellona il 5 luglio, il 12 successivo la brigata si trasferisce a Merì, e nel Palazzo del Sacerdote Antonio De Gaetani, stabilisce la propria base logistica.
All’alba di sabato 14 luglio, le truppe dell’esercito borbonico si muovono dalla Cittadella di Messina. Il loro scopo è quello di raggiungere e difendere la piazzaforte di Milazzo. Nei due giorni seguenti, dopo aver sostato a Gesso e pernottato a Spadafora, giungono ad Archi.
La loro marcia è rallentata da una fitta pioggia. Intanto, squadre di patrioti disposti lungo il percorso, spiano i movimenti dei borbonici e informano costantemente il Medici sull’evolversi della situazione.
Il comandante napoletano, fortemente preoccupato dalle notizie sull’elevato numero di garibaldini presenti in zona, decide di non proseguire ulteriormente, ed invece di continuare la marcia verso Merì e Barcellona, dopo aver ponderato la situazione, per evitare almeno momentaneamente un probabile e difficile scontro, ripara verso Milazzo.
A fornirgli le informazioni è Giuseppe Sibilla, il custode della “catena” di Archi, addetto alla riscossione del pedaggio. Tali notizie costano la vita al Sibilla, che viene giustiziato come traditore dalla squadra di volontari di Gualtieri Sicaminò.
Bosco entra in una Milazzo semideserta e stabilisce il proprio Quartiere Generale nei locali del convento di San Francesco di Paola. Viene dichiarato lo stato d’assedio. Tra i pochi abitanti presenti ancora in città, ci sono diversi patrioti guidati da Stefano Zirilli, presidente del locale comitato insurrezionale.
Durante la notte del 17 luglio, alcuni componenti della brigata garibaldina, al comando di Guerzoni e del Capitano Vincenzo Cianciolo, operano un’azione di ricognizione e di disturbo e si spingono fin negli avamposti borbonici, dove hanno un breve scontro a fuoco con i Regi.
Poco prima dell’alba, truppe borboniche, circa 1500 uomini, guidati dal Maggiore Maringh, escono da Milazzo avanzando fino ad Archi. Medici, avvertito di quanto sta avvenendo, posiziona immediatamente il colonnello Francesco Simonetta insieme alla 5a compagnia, agli ordini del capitano Alessandro Cattaneo.
Altri reparti si sistemano sulle alture tra Archi e Corriolo. Il combattimento si rivela subito cruento e le camicie rosse, in evidente inferiorità numerica, sono costrette ad indietreggiare. Solo il pronto intervento della 7a compagnia consente la loro ritirata, mentre la cavalleria borbonica supera il torrente ed entra nel villaggio di Corriolo. I garibaldini, dopo aver tentato un coraggioso assalto alla baionetta, sopraffatti dal fuoco nemico, si sfaldano e indietreggiano.
Maringh, incomprensibilmente, non approfitta della situazione favorevole, abbandona le posizioni e rientra a Milazzo, contravvenendo agli ordini ricevuti dal Bosco che lo mette subito agli arresti.
Intanto, Medici cerca di adottare delle opportune contromisure per fronteggiare il nemico, aumentando il numero degli uomini collocati sulle alture e realizzando due barricate poste rispettivamente al crocevia di Olivarella e a Corriolo, nei pressi della Villa Tracuzzi (oggi Vaccarino, a fianco dell’attuale chiesa dell’Immacolata).
Al Malenchini viene affidato il compito di difendere a tutti i costi le importanti posizioni. Lo scontro riprende ancora più violento alle 16.00, quando la colonna borbonica, forte di oltre tremila uomini al comando del Ten.Col. Giovanni Marra, entra in contatto con i garibaldini della prima barricata e, con una intensa azione di artiglieria e il sostegno della cavalleria, vanifica il loro ennesimo assalto alla baionetta.
I napoletani riescono a conquistare anche il secondo sbarramento, ma la simultanea azione del battaglione Guerzoni e di alcuni volontari di Camastrà, guidati dal barone Pietro Gordone, li ferma e li fa indietreggiare.
Intanto continua l’incessante fuoco dei fucili garibaldini che sparano dalle alture circostanti e dalle finestre della Villa Tracuzzi. Mentre lo scontro si fa sempre più violento, Medici invia dei rinforzi per fronteggiare gli attacchi dei Regi.
Anche un gruppo di volontari filippesi guidati da Don Ciccio Impò, all’epoca parroco della chiesetta di S. Antonio, si lancia all’attacco fornendo un valido aiuto per risolvere la difficile situazione.
Dopo aver riconquistato la barricata, le camicie rosse si oppongono coraggiosamente agli incessanti attacchi del nemico e mantengono saldamente le posizioni.
Dopo molte ore di combattimenti, Bosco impartisce l’ordine di rientrare a Milazzo. I garibaldini tornano vittoriosi al campo di Merì.
Garibaldi, informato degli scontri avvenuti e delle difficoltà incontrate dal Medici a causa del concentramento di truppe borboniche nella zona di Milazzo, mercoledì 18 luglio a bordo del piroscafo “City of Aberdeen” ribattezzato “Rosolino Pilo”, giunge a Patti, punto di incontro con la spedizione Cosenz, e quindi, all’alba del giorno seguente, prosegue verso Barcellona, da dove nel pomeriggio si trasferisce al campo di Merì.
L’Eroe dei Due Mondi si spinge fin sulle alture di Santa Lucia, dalle quali può esaminare attentamente l’intero territorio e quindi studiare la strategia migliore per affrontare un combattimento che ormai si preannuncia imminente.
Rientrato a palazzo De Gaetani, dopo aver parlato alla folla, redige un ordine del giorno con il quale conferisce il grado di Maggiori Generali a Medici, Cosenz, Carini e Bixio, ed insieme ai suoi fidati collaboratori, predispone i dettagli del piano di battaglia. All’alba del 20 luglio, le truppe garibaldine sono pronte per l’attacco.